IL SITO DI CLAUDIO TONELLI
Scarpe morbide
Scarpe morbide, con una gomma soffice, adatta ad evitare traumi alla caviglia e ai tendini.
Hanno una riga che gira intorno, di colore blu. Non l’avevo mai notata. Ho il mento vicino al ginocchio e le mani sono intorno alla gamba, intente a sistemare i lunghi lacci in una posizione che non dia fastidio alla corsa.
Non mi sono fatto la barba e lo sfioramento con i peli della coscia mi procura un piacevole solletico.
Mi piace questa posizione, perchè allungo i muscoli e ritrovo un benessere che arriva fino alla mia mente.
Mentre le mie dita si muovono veloci sopra le scarpe, noto come i tendini scatenano delle sintonie negli avambracci, come le corde di un pianoforte che saltellano, con rigore, quando vengono pizzicate dai tasti.
C’è una formica che si aggira intorno al mio lavoro. Si muove frenetica, apparentemente non segue linee logiche, s’infila sotto la scarpa, poi riemerge, accenna a salire, desiste e se ne va.
La seguo con gli occhi, poi diventa troppo piccola e la perdo.
E’ una giornata ideale per correre, la temperatura è mite, e un leggero venticello rinfresca l’aria.
Ho quasi finito di allacciare una scarpa e la mia attenzione si posa sulla cicatrice della coscia. E in un attimo, vengo proiettato a quel giorno di primavera, dentro il mio garage, intento a preparare tutto il materiale per imbiancare le pareti della cucina.
Mi manca un contenitore basso e cosi prendo un secchio e lo appoggio sulla coscia e con un cutter cerco di tagliare la parte più alta. E’ una plastica molto resistente e il mio impegno è massimo, così come la mia forza.
Poi il secchio si sposta e la mia mano scivola, con la lama nella coscia.
Qualche secondo di incredulità, sguardo attonito verso la ferita e la corsa al pronto soccorso. Non ho sofferto per i punti di sutura, piuttosto per la stupidità di non aver capito che lavorare in quel modo poteva significare qualcosa di molto più grave.
Cambio piede.
Con calma mi alzo e mi rimetto in posizione per allacciare l’altra scarpa.
Sento un motore potente di un auto, prima lontano e poi sempre più vicino, una piccola frenata, una marcia scalata, curva e ripresa veloce.
Mi viene in mente Zanardi, il campione bolognese che in Germania perse le gambe per un pauroso incidente.
Zanardi è un mito.
La sua voglia di vivere, la sua allegria, la voglia di ricominciare a correre. Godere la vita in tutte le sue forme, prendere in giro la sofferenza e burlarsi della morte. Sorridere sempre, comunque, perchè se la vita può essere più gioia o più dolore, questo dipende da noi.
E ogni volta che ascolto i suoi commenti e vedo il suo volto, io mi carico e mi sento bene, perchè la sua energia mi crea benessere.
Le mie scarpe hanno del tessuto blu all’interno, imbottito con non so quale materiale, e sono molto soffici. Sembra di camminare su un tappeto. Bella la tecnologia. Ci permette di fare e di ottenere cose fino a poco tempo fa impensabili.
E anche questo piede è a posto. Scarpa ben allacciata e piede al sicuro dentro la sua casetta.
Appoggio le mani al muro e allungo le braccia e piano piano scendo verso il basso, in modo da allungare la schiena.
Ripenso al tempo in cui desideravo realizzare tutti i sogni sportivi. Mi davo un gran da fare per allenarmi, sudare, e studiare i movimenti. Non mi stancavo mai, era come se una linfa mi nutrisse costantemente e la distanza o la lontananza da quel mondo mi rendevano apatico e serio.
Fantastica la compagnia degli atleti, anche di quelli scorbutici o antipatici. Un mondo con pochi pensieri, così pensavo all’inizio. Poi la gioia di condividere il
piacere di quella vita veniva turbata dal risultato: o sei primo o non sei nessuno.
Inspiro e mentre espiro, allungo sempre di più la mia schiena e i tricipiti della coscia. Con gli occhi chiusi, mi concentro sulla respirazione e immagino che l’energia del respiro attraversi il mio corpo, ossigenando e rinvigorendo ogni cellula del mio organismo.
Un mio vicino mi passa accanto con il suo piccolo cane. Un cenno d’intesa, il saluto con un sorriso e uno sguardo un po’ stupito. Ci conosciamo da tempo, però ogni volta che vede la mia preparazione, rimane sorpreso, anche se solo per un attimo.
Qualche anno fa ci siamo incrociati in montagna, lui andava a funghi e io andavo a zonzo. Alla sera avrebbero festeggiato il compleanno di suo figlio e lui era stato incaricato di trovare i migliori funghi della zona. Così mi unii a lui, ma presto mi resi conto che la mia presenza era più di impiccio che di beneficio, vista la mia assoluta ignoranza sui funghi.
Mi chiese comunque di restare con lui. E passammo tutto il pomeriggio a parlare di cose che ora non ricordo, ma in una fusione completa con la natura, respirando i profumi di quel bosco, accarezzati da una leggera brezza. Camminavamo lentamente, senza frenesia, immersi nei nostri discorsi, con gli occhi che rincorrevano i piccoli movimenti tra le foglie.
E’ un’esperienza che ricordo ancora con piacere, perché ho vissuto un momento di vera tranquillità, in armonia con tutto ciò che mi circondava.
Qualche torsione del busto e sono pronto.
Guardo la mia tuta da ginnastica.
Non mi sono accorto che per allacciarmi le scarpe ho raccolto i pantaloni della tuta al di sopra del ginocchio. Per me, come per molti, è un gesto naturale.
Così, mentre mi riscaldavo, ho dato mostra della mia imperfezione o forse della mia appartenenza ad una categoria diversa da quella umana, così è il pensiero delle persone.
Con movimenti composti, sistemo i pantaloni e copro le mie protesi che dal ginocchio hanno sostituito le mie parti mancanti, permettendomi di vivere più dignitosamente.
E’ una fresca e bella giornata.
Devo dimagrire qualche chilo e una corsetta è proprio quello che ci vuole.
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